------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Through a socio-anthropological gaze of everyday life reports, a relationship between the post-industrial space and its disparate inhabitants takes form. The result is the micro-ethnography of space, apparently remote from the city’s center, but actually easy and quick to reach following the straight line of the Naviglio.
(…) In verità sono pochi coloro che sanno dell’esistenza di un piccolo cervello in ciascuna delle dita della mano, in qualche punto tra falange, falangina e falangetta. Quell’altro organo che si chiama cervello, quello con cui veniamo al mondo, quello che trasportiamo nel cranio e che trasporta noi affinché noi trasportiamo lui, non è mai riuscito a produrre altro che intenzioni vaghe, generiche, diffuse, e soprattutto poche variate, riguardo a ciò che le mani e le dita dovranno fare.
Se, per esempio, al cervello della testa è venuta l’idea di una pittura, o di una musica, o una scultura, o un brano letterario, o una statuina di terracotta, lui non fa altro che manifestare il desiderio di rimanere poi in attesa, a vedere cosa succede, solo perché ha trasmesso un ordine alle mani e alle dita, crede, o finge di credere, che questo era tutto ciò di cui c’era bisogno perché il lavoro, dopo un certo numero di operazioni eseguite dalle estremità delle braccia, si presentasse fatto.
Non ha mia avuto la curiosità di domandarsi per quale ragione il risultato finale di codesta manipolazione, sempre complessa persino nelle sue espressioni più semplici assomigli tanto poco a quello che aveva immaginato prima di dare istruzioni alle mani.
Si noti che quando nasciamo le dita non hanno ancora un cervello, che si va formando a poco a poco con il passare del tempo e l’aiuto di ciò che vedono gli occhi. (…) Perché il cervello della testa sapesse cos’ ra la pietra, prima c’è stato bisogno che le dita la toccassero, ne sentissero l’asperità, il peso e la densità, c’è stato bisogno che si ferissero. Solo molto tempo dopo il cervello ha capito che da quel pezzo di roccia si sarebbe potuta fare una cosa che avrebbe chiamato coltello e una cosa che avrebbe chiamato idolo. Il cervello della testa è sempre stato in ritardo per tutta la vita rispetto alle mani, e anche ai nostri giorni, quando ci sembra che le abbia sorpassate, sono ancora le dita che devono spiegargli le investigazioni del tatto, il fremito dell’epidermide quando sfiora la creta, l’acuta lacerazione dello scalpello, la morsa dell’acido sulla piastra, la vibrazione sottile di un foglio di carta disteso, l’ortografia delle tessiture, la trama delle fibre, l’abbecedario in rilievo del mondo. (…)
Sul pensiero, la percezione aptica, l'integrazione multisensoriale, la metafora del forno e la comunicazione gestuale
José Saramago